Eventi:” TEATRO MUNICIPALE GIUSEPPE VERDI DI SALERNO MANON LESCAUT”.

11.04.2023 14:30 di Barbara Carere   vedi letture
Fonte: Peppe Iannicelli
Eventi:” TEATRO MUNICIPALE GIUSEPPE VERDI DI SALERNO  MANON LESCAUT”.

Venerdì    14 aprile ore 21.00    TURNO A 

Domenica 16 aprile ore 18.00  TURNO B

MANON LESCAUT

Musica di Giacomo Puccini

Direttore d’Orchestra, Daniel Oren

Regia, Pier Francesco Maestrini

Maestro del coro, Francesco Aliberti

Scene e costumi, Alfredo Troisi

Assistente al direttore d’Orchestra, Francesco Rosa

Manon Lescaut, Jennifer Rowley

Il Cavaliere Renato Des Grieu, Riccardo Massi

Lescaut, Vito Priante

Geronte De Ravoir, Carlo Striuli

Edmondo, Francesco Marsiglia

Un lampionaio, Francesco Marsiglia

Un musico, Natalia Verniol

Un oste, Angelo Nardinocchi

Il maestro di ballo, Francesco Marsiglia

Sergente degli Arcieri, Angelo Nardinocchi

Il comandante di Marina, Carlo Striuli

ORCHESTRA FILARMONICA “GIUSEPPE VERDI” DI SALERNO

CORO DEL TEATRO DELL’OPERA DI SALERNO

Nuovo allestimento del Teatro “Giuseppe Verdi” di Salerno

La “passione disperata” di Manon.

di Rosanna Di Giuseppe

Dal romanzo dell’abate Prévost  Histoire du chevalier des Grieuxet de Manon Lescaut (Amsterdam 1731), settimo volume delle Mémoires et aventures d’un homme de qualité, Puccini decise  di trarre il soggetto della sua terza opera, dopo  le Villi(1884) e l’Edgar(1889). Manon Lescaut, questo  il titolo che si decise di  attribuirle per distinguerla dalla Manon di Massenet rappresentata  a Parigi nel 1884,  debuttò al Teatro Regio di Torino il primo febbraio 1893, con interpreti Cesira Ferrani (Manon), Giuseppe Cremonini (Des Grieux), Achille Moro (Lescaut), Alessandro Polonini (Geronte)  e  la direzione orchestrale di Alessandro Pomé. Fu l’opera che decretò il primo vero grande trionfo di Puccini, riconosciuto sia dal pubblico che dalla critica: “[…] l’opera sorprese per il suo grande valore artistico, la sua potente concezione musicale, la sua teatralità […]. Dall’Edgar a questa Manon il Puccini ha saltato un abisso.[…]” così si esprimeva Alfredo Colombani  sul <> all’indomani della rappresentazione. E in effetti Puccini riesce straordinariamente a mettere a punto per la prima volta, con tutta la forza e l’esuberanza della giovinezza, il suo linguaggio musicale e aspetti fondamentali della sua drammaturgia.   Tra questi si definisce già  la centralità del libretto la cui elaborazione è per Puccini il punto di partenza della creatività drammaturgica. La trama è considerata l’elemento fondamentale per attirare l’attenzione del pubblico, da presentarsi con prerogative di concisione, chiarezza ed essenzialità.  Puccini dimostra infatti una tecnica da novelliere per l’eccezionale economia con cui riesce a trattare l’argomento. Nella complessa gestazione del libretto della Manon che nella particolare eterogeneità della sua genesi risulta emblematica del modo di lavorare di Puccini, egli comincia per la prima volta a seguire questi principi intervenendo direttamente con precise richieste e suggerimenti nel lavoro dei suoi librettisti che nel caso di quest’opera finirono per raggiungere il numero di sei proprio per la costante insoddisfazione del compositore. Questi si rivelò oltremodo esigente durante la stesura del libretto probabilmente anche per la preoccupazione ed il bisogno di differenziare in qualche modo l’opera da quella composta con grande successo da Massenet su libretto di Henri  Mehilac e Philippe Gilles. La riduzione di Massenet dal romanzo di Prévostnon era che una delle tante ispirate dall’opera narrativa dell’Abate che aveva più volte suscitato l’interesse del teatro, citiamo tra le altre il balletto realizzato da Scribe e Halévy nel 1830 e l’opéracomique di Auber su libretto di Scribe presentata a Parigi nel 1856. Lo stesso Verdi aveva pensato alla fine degli anni Quaranta di musicare una Manon. Puccini si era dunque rivolto ad un soggetto seducente che aveva dimostrato  la sua efficacia teatrale, ed evidentemente conosciuto dal pubblico, nonostante l’editore Giulio Ricordi lo avesse messo in guardia dalla problematicità di un  possibile confronto con Massenet, la cui opera cominciava ad imporsi dappertutto, anche se fu data in Italia soltanto alcuni mesi dopo l’opera pucciniana. Il romanzo dell’Abbé Prevost era incentrato sul tema settecentesco del contrasto tra virtù e vizio, moralità e passionalità, ma a Puccini interessavano della storia i risvolti di verità psicologica che investivano  il personaggio femminile. Andava in tal modo ad  intraprendere quella strada particolarmente rispondente alla propria sensibilità che lo porterà a porre al centro della sua poetica il mondo femminile, per cui i personaggi delle sue donne, per dirla con Sartori, risulteranno, in genere, “gli unici palpitanti di un sembiante di vita 

individuale”. E’ da considerare il contesto storico-artistico in cui si colloca la sua Manon che fu data a breve distanza da due opere sintomatiche del verismo musicale come Cavalleria rusticana di Mascagni (1890) e Pagliacci di Leoncavallo (1892), e d’altra parte a distanza di soltanto otto giorni dalla prima, alla Scala di Milano,  dello straordinario ultimo capolavoro verdiano, Falstaff,in cui l’anziano Verdi trovava nuove vie e soluzioni al genere operistico imposte dai tempi mutati, dall’apparizione dei drammi musicali wagneriani, da nuove esigenze culturali già emerse nelle critiche che gli Scapigliati e Boito, fin dal 1865 circa, avevano rivolto alla tradizionale opera italiana identificantesi con lui. D’altra parte vi erano state esperienze come la Carmen di Bizet che avevano spinto a scelte più realistiche e ad argomenti innovativi nel teatro musicale. Dunque la storia operistica era ad una svolta e Puccini dimostrò di saper cogliere le esigenze attuali sia per quanto riguarda un ammodernamento del linguaggio che per i contenuti del melodramma improntati nel suo caso ad una ricerca personale della verità dei sentimenti e di tutti gli sviluppi psicologici resi possibili proprio dal dissolvimento delle “strutture musicali tradizionali”.

Il primo librettista ad essere chiamato in causa per la sua Manonfu Ruggero Lencavallo, scrittore oltre che compositore che aveva un contratto con Ricordi, a cui ben presto  seguì  una coppia di librettisti, Marco Praga e Domenico Oliva  e ancora un’altra, Luigi Illica e Giuseppe Giacosa  che inaugurarono una collaborazione duratura  nei successivi lavori pucciniani, ad essi si aggiunse Ricordi stesso che apportò  un intervento decisivo nella fase conclusiva. L’elaborazione del libretto durò non a caso circa tre anni, dal 1890 al 1892 e proprio per la molteplicità dei suoi autori venne pubblicato anonimo. La coppia Praga-Oliva aveva offerto al compositore un impianto drammaturgico che ricalcava molto da vicino quello dell’opera di Massenet con un primo atto in cui avviene l’incontro Manon-Des Grieux e il rapimento di Manon; un secondo, ambientato a Parigi e incentrato sulla convivenza di Manon e Des Grieux,  un terzo atto dove Manon vive con il suo ricco amante Geronte prima di riallacciare il legame con il suo primo innamorato e che si conclude con l’arresto; infine un quarto durante il quale si svolge la morte di Manon in Luisiana. Puccini ci tenne molto ad eliminare le analogie con Massenet, per cui poi Praga per le eccessive richieste di cambiamenti rinunciò all’incarico che fu affidato ad Illica affiancato per quanto riguarda la versificazione da Giacosa. Il musicista desiderava soprattutto modificare quel secondo atto troppo affine all’atto del collega francese, in un primo momento suggerendo semplicemente una modificazione d’ambiente, inserendo una sorta di idillio tra i due innamorati, dopodiché quest’ultimo fu del tutto eliminato. Questo taglio risulta molto significativo per comprendere l’impostazione drammaturgica che interessava a Puccini. Egli voleva porre in primo piano la tragicità della storia d’amore senza aver mai mostrato d’altro canto i due amanti nel loro momento di felicità. Non a caso il musicista  aveva scritto a Marco Praga a proposito del soggetto dell’opera: “ Massenet lo sentiva  alla francese con la cipria e i minuetti,  io lo sento da italiano, con passione disperata”. Cosicché il gusto per la concentrazione raggiunge il suo apice nel vuoto narrativo, contestato da diversi critici, tra la conclusione del primo atto, dove una fanciulla destinata al convento evita il suo destino fuggendo con un giovane appena  conosciuto che si è innamorato di lei,  e l’inizio del secondo in cui quella stessa fanciulla ci viene presentata come la 

mantenuta del ricco e vecchio Geronte de Ravoir. La contraddizione secondo cui  il fratello di Manon nel primo atto accompagna Manon in convento, mentre nel secondo diviene amico del seduttore della sorella, venne risolta da Illica solo un anno dopo la prima dell’opera, introducendo un duetto tra Lescaut e Geronte alla fine del primo atto, in cui il primo descrive cinicamente a quest’ultimo alcune peculiarità del carattere della sorella che forniscono una giustificazione drammaturgica della situazione di esordio del  secondo atto. D’altra parte l’eliminazione della figura del padre di Des Grieux che sia nel romanzo che nel libratto di Massenet è uno dei maggiori responsabili del temporaneo allontanamento dei due giovani innamorati, è una scelta che ancora una volta si pone nella direzione del massimo risalto che Puccini voleva conferire al personaggio di Manon rendendola artefice delle sue azioni, al di là delle ragioni sociali. Fra le altre differenze notevoli con il libretto di Massenet vi è la scena dell’imbarco delle prostitute dal porto di Le Havre, una delle più efficaci dell’opera e di tutto il teatro di Puccini e non solo, che rispecchia fin da ora quella optique duthéatre sottolineata da Carner come una delle  principali doti dell’autore, consistente nel saper fiutare “l’effetto puramente visivo di una scena”. Tale scena mancava in Massenet, laddove Manon muore molto prima di arrivare al porto di Le Havre. L’ultimo atto di Puccini si svolge infine come quello di Auber in Louisiana, in un’unica  grande scena desertica che esclude qualsiasi couleur locale, invenzione geniale solo recentemente riconosciuta come tale, ma per il passato molto criticata  da un  punto di vista drammaturgico, per la sua staticità e incongruenza. Esso rappresenta in realtà la quintessenza di tutta l’opera, come dimostra anche il materiale musicale utilizzato che è tutto di reminiscenza. Si tratta di un lungo lamento in duetto, interrotto solo dall’aria di Manon “Sola, perduta, abbandonata”,  tagliataimpietosamente per un lungo periodo da Puccini dopo la prima di Torino, e ripristinata in occasione della direzione dell’opera da parte di Toscanini alla Scala nel 1922. E’ un esempio straordinario della poetica del compositore in quanto realizzazione di “una logica implacabile dello sviluppo melodico in funzione drammatica” (Girardi). La morte di Manon è una conseguenza di quanto è avvenuto prima e dunque tutto ciò  che ascoltiamo in quest’atto che ha una grossa valenza astratta è stato già ascoltato in precedenza.  Non mancano nell’opera scene che rievocano l’atmosfera settecentesca, in particolare nel secondo atto che si apre con Manon che fa toeletta, annoiata, davanti a uno specchio nella ricca casa di Geronte, per poi procedere, dopo il dialogo con il fratello in cui ricorda tra i tempi felici trascorsi con Des Grieux(In quelle trine morbide ), con brani di genere quale il Madrigale intonato dai musici assoldati per lei da Geronte e il  Minuetto che segue, per cui Puccini utilizzò molto materiale musicale preesistente tratto da sue composizioni, per conferire un colorito settecentesco (l’Agnus Dei dalla “Messa di gloria” e i Tre Minuetti del 1892), così come anche per il terzo e quarto atto in cui ricorse al suo quartetto Crisantemi del 1890 che difatti rifletté sulla tessitura orchestrale la profondità tipica della scrittura quartettistica. Per il resto tutta la trama musicale dell’opera è intrisa di temi, di motivi che una volta presentati ritornano con fini associativi soprattutto di tipo emozionale, o mediante giustapposizione, più che per affinità con la complessa tecnica di elaborazione dei leitmotive wagneriani. Wagner è presente per la dilatazione del piano tonale e per le conquiste della tecnica di istrumentazione (G.B. Shaw sottolineava le tendenze sinfoniche del compositore, dopo la prima londinese dell’estate del 1894)  oltre ad essere esplicitamente citato in quanto alle armonie nel famoso duetto d’amore del secondo atto, in cui 

l’equazione tra amore sensuale e colpa e quindi perdizione, reca direttamente al Tristano. Altri influssi venivano da Massenet e dall’opéra lirique  per quanto riguarda l’uso dei legni, la trama strumentale “leggera, diafana …piccante” (Carner) e alcuni aspetti languidi della melodia che risentivano della phrase dècadantedegli autori francesi ma sempre con una forza espressiva e una pregnanza tutte italiane, in cui spesso la melodia è inarcata abilmente tra voce solista e orchestra o raddoppiata da quest’ultima con diverse gradazioni di intensità. È inoltre interessante notare la funzione narrativa che Puccini assegna ad un brano di pura musica strumentale dell’opera, l’intermezzo orchestrale che precede il terzo atto, da eseguirsi a sipario abbassato, che sostituisce gli eventi sottintesi sul palcoscenico. Esso prelude ad uno di momenti culminanti dell’opera, quella scena di insieme al porto di Le Havre che può competere con le grandi scene corali di Verdi.

Si tratta dunque di un’opera  variegata e composita,  la cui struttura è basata su una successione aperta  delle scene, per esplicito volere degli autori ed è questo forse il suo dato di maggiore fascino e modernità. Le fratture narrative di cui è stata spesso imputata, hanno suggerito in tempi recenti un raffronto in positivo con l’arte cinematografica, per cui lo stesso ultimo atto risulta un grande primo piano in cui la morte di Manon risalta in tutta la sua intensità. Questo personaggio che è uno dei primi grandi ritratti di eroine pucciniane, accomunate  dalla capacità di opporsi alla società in cui vivono,  è una forza della natura che si identifica con lo stesso amore sensuale, per cui risulta quasi scagionata dalle sue colpe, vittima di sé stessa e di un destino avverso, mentre gli altri personaggi appaiono sullo sfondo, fungendo da “catalizzatori dei giochi erotici della protagonista”. E’ tuttavia prevalentemente un personaggio romantico che ha il coraggio  delle proprie passioni. Le sue ultime parole, non a caso assenti in Prévost, il cui personaggio narrante, Des Grieux stesso, vuol tacere (“non chiedetemi le sue ultime parole”) sono appunto: “l’amor mio non muore”, a suggello di quella disperata forza della passione e di vita a cui  Puccini assegnava una connotazione tutta italiana.